Il Salar de Uyuni, un deserto che durante la stagione delle piogge assume le sembianze di un lago. Un lago salato. Uno degli spettacoli più strabilianti a cui abbia assistito in vita mia. Un’immensa distesa di sale, la più grande al mondo, che ricopre una superficie di 12.000 chilometri quadrati a un’altezza che supera i 3.500 metri. Per inciso, nel 2014 è stato il punto di partenza di una delle tappe della Parigi-Dakar…
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Attorno al Salar de Uyuni circolano varie leggende. La più romantica, dal mio punto di vista, è quella della bellissima india Tunupa che partorì una bambina dalla bellezza stratosferica. Tutti gli uomini se ne innamorarono e le donne, gelose, fecero sparire la figlia della donna che, per il dolore, iniziò a piangere a dirotto. Pianse al punto che le sue lacrime allagarono tutti i campi privandoli della fertilità e trasformandoli in un immenso deserto di sale…
A questo posto leggendario si può accedere sia dal Cile che dalla Bolivia. Io sono partita da Uyuni, in Bolivia, diretta in Cile, ma i tour generalmente sono circolari. Si parte e si arriva nello stesso punto. Uno dei pochi tour a cui ho preso parte e forse l’unico che è valso la pena fare. I soldi se li è meritati tutti, e ne avrebbe meritati molti di più…
Dal cimitero dei treni – una sorta di rimessa di vecchi treni, alcuni risalenti al 1.800, divorati dal sale – al villaggio di San Cristobal, l’unico centro abitato incontrato nel corso del tour; dallo spettacolare gioco di luci e ombre del Salar che il momento prima sembra una pista da scii e quello dopo un lago con i vulcani che si stagliano all’orizzonte, alla serie di lagune di disarmante bellezza abitate da colonie di fenicotteri rosa.
Laguna verde e Laguna colorada decisamente mozzafiato. Dall’Arbol de piedra, una scultura naturale in mezzo al deserto Dalì il cui scenario ricorda alcune opere del pittore spagnolo, all’Isla de Incahuasi, o Isla del Pescado, un’oasi al centro del deserto di sale popolata da cactus a candelabro che superano i 4 metri di altezza; dall’antico hotel di sale – oggi bar che ospita un museo di sculture di sale – con le pareti, i pavimenti e i letti di sale, all’esplosione dei geiser che brontolano a oltre 4.000 d’altezza eruttando getti di vapore, odore di zolfo e pozze di fango in ebollizione costante.
Tre giorni di freddo pungente, del tutto normale vista l’altitudine, in cui il mio unico rimpianto è stato quello di non avere una polaroid al posto degli occhi per catturare e imprimere ogni immagine e ogni istante che stavo vedendo e vivendo in quel momento. Ma le sensazioni sono rimaste impresse nel cuore, ve lo garantisco. Ogni volta che ci ripenso sento l’irrefrenabile desiderio di andare a perdermi laggiù…
La stagione migliore per assistere allo spettacolo del deserto di sale che si trasforma in uno specchio è la stagione delle piogge, meglio ancora con una macchina solitaria sullo sfondo che gli scivola sopra come se stesse volando. Eh sì, è tutto dannatamente suggestivo al Salar de Uyuni. Lo specchio d’acqua muta in una pista da pattinaggio che ricorda lontanamente la struttura di un’arnia. Il cielo disegnato di nuvole sfuma all’orizzonte di una cornice di imponenti vulcani e i riflessi del sole trasformano lo sfondo in una spiaggia tropicale di bianchissima arena.
Il Salar de Uyuni, deserto di sale o lago salato, come dir si voglia, è una delle espressioni più possenti e generose della Pacha Mama, la Madre Terra, venerata e adorata in tutta l’America del Sud, specialmente dalle popolazioni andine e da quelle indigene dell’Amazzonia. E da me, ovviamente, che di fronte a spettacoli di questo tipo mi sento piccola e insignificante quanto un singolo granello di sale. Un granello di sale che fa parte del tutto, di questo nostro meraviglioso mondo che nella sua immensa magnanimità ci regala emozioni incredibili…